Probabilmente molti di voi non sapranno cosa sia la tripofobia, una sorta di paura che coinvolge persone che alla vista di buchi, soprattutto se ravvicinati tra di essi, hanno delle reazioni fisiche e emotive molto forti, al punto tale che possono soffrire di autentici attacchi di panico. Si conoscono ad oggi quelle che sono le cause che scatenano in un soggetto che non ha mai avuto in passato manifestazioni del genere, autentici attacchi di paura, fobie talmente accentuate da mettere in seria difficoltà le persone nella vita di tutti i giorni? La scienza moderna ha riconosciuto ufficialmente questo disturbo elaborando delle linee guida che sono in grado di aiutare i soggetti che ne soffrono a guarire o almeno a controllare i disturbi che possono avere?
Cerchiamo ora di ripercorrere la tappe di questo disturbo, per cercare di capire in maniera più approfondita se esistono approcci terapeutici validi, in grado di fornire delle soluzioni adeguate a quelle persone che hanno queste problematiche. Per cominciare è bene dire che immagini o forme fisiche concrete come da esempio degli alveari, delle bolle di sapone, sono condizioni che nel soggetto che soffre di questa sensibilità possono provocare delle reazioni molto intense a livello fisico.
La persona che presenta un profilo psicologico che con una particolare sensibilità a queste forme fisiche, di fronte a buchi molto vicini tra di loro, collocati a una determinata profondità, che presentano la caratteristica di essere troppo ravvicinati tra di loro, può avere una serie di reazioni fisiche particolarmente accentuate.
Qual’è la sintomatologia fisica che si manifesta nel soggetto che presenta questa particolare condizione? Si parla di condizioni fisiche che possono andare dal mal di testa ad autentici attacchi di panico. Tuttavia si tratta di un disturbo di recente scoperta, non ancora catalogato in maniera ufficiale nell’elenco delle problematiche psicologiche che un soggetto nel corso della sua vita può avere.
La scienza si deve ancora pronunciare
Non sempre la scienza cataloga in maniera precisa determinati disturbi ai quali possono andare incontro soggetti che presentano spiccate sensibilità di natura psicologica. Infatti per quanto nel corso degli anni, si siano sentiti racconti o aneddoti di persone che soffrivano di questa fobia, non esiste ancora un riconoscimento ufficiale di questo disturbo e delle linee guida che possano indicare con una certa chiarezza quali sono gli approcci più corretti.
Questo non vuol dire che al di là del grado di ufficialità che può dare un accoglimento di natura scientifica da parte di tutta la comunità, non si sia indagato nel corso degli anni sul disturbo e su come si manifesta, cercando di comprenderne meglio i meccanismi e arrivando a formulare delle teorie che potrebbero spiegarne l’origine.
Proprio in tal senso, volendo ripercorrere le tappe a livello storico che evidenziano studi volti a comprendere meglio questo disturbo, dobbiamo andare indietro nel tempo fino al 2013. Anno in cui due persone particolarmente esperte provenienti dalla University of Essex, iniziano un percorso di approfondimento sul disturbo partendo dal significato del termine fobia.
La parola fobia indica a tutti gli effetti una paura che non ha una base razionale e può riguardare delle situazioni concrete nelle quali un soggetto si può trovare o anche un oggetto. Indagarne le cause è spesso difficile, si tratta infatti di manifestazioni emotive e fisiche di una persona delle quali spesso non se ne conosce il motivo.
Per studiare questa paura specifica, i due scienziati hanno approfondito in maniera analitica lo studio di una serie di immagini che scatenavano nel soggetto queste reazioni. Secondo la loro teoria, alla base di questo disturbo ci sarebbe l’attivazione di un meccanismo del quale il soggetto non è consapevole fondato su una sorta di repulsione.
Infatti le immagini analizzate presentano tratti comuni con quelle che rappresentano animali che hanno un certo grado di velenosità.
Teoria evoluzionistica
Quindi questi studiosi sono arrivati a sostenere che alla base di questo disturbo, sarebbe presente una componente di natura evolutiva che si innescherebbe tutte le volte in cui il nostro cervello percepisce un pericolo proveniente dall’ambiente circostante, per questo motivo attiverebbe dei meccanismi di difesa non collegati alla nostra parte razionale e conscia.
Le immagini quindi sono in grado di stimolare aree del cervello specifiche che rispondono a uno stimolo identificato come un pericolo (pensiamo infatti ad un animale velonoso come un serpente). In base a questa teoria, non sono solo i soggetti che presentano una spiccata sensibilità a determinate immagini ad avere una reazione specifica.
Molto probabilmente ogni soggetto umano, non solo quelli che hanno sintomi specifici riconducibili alla tripofobia hanno delle minime reazioni di natura avversa alla visione di determinate immagini. Per questo motivo alla base di tutto ci sarebbe un meccanismo di natura evolutiva ereditato che riguarda situazioni, animali che possono danneggiare e mettere in serio pericolo la nostra vita stessa.
Fori che scatenano la fobia
Ora che abbiamo approfondito un minimo le possibili spiegazioni che ci aiutano a inquadrare una manifestazione emotiva e psicologica irrazionale come questa, vediamo nel dettaglio nel soggetto tripofobico di specificare quali possono essere i fori per i quali si scatena la paura irrazionale:
- Un soggetto tripofobico potrebbe avere una paura irrazionale scatenata dalla visione di un alveare
- Un soggetto tripofobico potrebbe avere una reazione di panico guardando un oggetto come una spugna
- Oggi di uso comune per costruire delle abitazioni come mattoni forati, possono scatenare il disagio nel soggetto sensibile
- Nel soggetto fobico il disturbo si può attivare alla vista dei coralli
- Può avere una reazione di natura avversa alla vista di fori presenti sulla pelle
- Si può innescare un meccanismo del genere se il soggetto vede bolle di sapone
Sintomatologia specifica
Vediamo ora nel dettaglio quali sono le sintomatologie specifiche che può avere un soggetto che presenta i tratti emotivi e psicologici classici di questa fobia:
- Lo stimolo che innesca nel soggetto la paura irrazionale può presentarsi come un disagio piuttosto accentuato
- Il soggetto che ha questa reazione può avere un forte stato di ansia
- Il soggetto può avere i battiti cardiaci accellerati (tachicardia)
- La reazione fisica può manifestarsi con un senso di nausea
- Il soggetto può anche essere preda di un attacco di panico
- Un soggetto nel quale uno stimolo specifico innesca la paura, potrebbe essere percorso da brividi improvvisi che non riesce a controllare
Approcci curativi
Ad oggi la scienza non si è ancora pronunciata, non riconoscendo ancora in maniera ufficiale questo disturbo. Gli approcci che si possono utilizzare per cercare di ridurre ai minimi termini la sintomatologia sono vari. La paura non necessariamente scompare ma i sintomi possono sicuramente avere un miglioramento.
Si può quindi utilizzare approcci di natura comportamentale, lo yoga per cercare di portare il soggetto a un buon livello di distensione del nervi. Si può utilizzare anche un approccio di natura farmacologia basato sulla somministrazione di farmaci come le benzodiazepine.
Ulteriori approfondimenti
Tuttavia è proprio vero che ci troviamo in presenza di una fobia? Nel 2016 un altro studio condotto dall’università di Atlanta ha cercato di fare maggiore chiarezza, cercando di determinare se si tratta di un problema che possiamo identificare come fobia o di una semplice reazione di disgusto a certe visioni.
Lo studio è nato da una considerazione specifica quella di cercare di dare una risposta in tal senso e poter poi consigliare una terapia che sia più mirata ed efficace. In tal senso sono state verificare alcune reazioni a livello oculare di un gruppo di volontari. L’esperimento ha voluto mettere in evidenza come le reazioni dei soggetti fossero differenti rispetto agli stimoli presentati. Infatti in caso di immagini che mostravano animali velenosi o pericolosi, la pupilla si dilatava, nel caso di immagini che rappresentavano buchi che erano simili ai colori degli animali pericolosi, le pupille dei soggetti tendevano e restringersi.
Questo esperimento avvalla una teoria che vede nella tripofobia non una paura irrazionale ma una sorta di disgusto che il soggetto mette in atto in presenza di stimoli specifici e come tale dovrebbe essere trattata.